Tanzania | Vademecum per il Kilimanjaro

17 febbraio 2019 | | | |

Il Kilimanjaro e' tante cose insieme: e' un vulcano, e' il punto piu' alto dell'Africa (5895 m), e' il piu' alto rilievo isolato (non fa parte di una catena montuosa), e' il piu' alto punto raggiungibile senza attrezzatura tecnica. E' ovviamente Patrimonio dell'Umanita' e fa parte del gruppo dei Seven Summits (le cime più alte di ciascun continente).



Il Kili (che poi in Swahili si direbbe Kilima, collina) si trova al confine tra Tanzania e Kenya. E' in realta' uno stratovulcano, nel senso che e' composto da tre distinti coni vulcanici: Kibo (5895 m), Mawenzi (5149 m) e Shira (4005 m). Mawenzi e Shira sono estinti, Kibo e' tecnicamente dormiente (ma l'ultima eruzione e' stata tra i 150 mila e i 200 mila anni fa).

Quando la zona venne colonizzata dai tedeschi intorno al 1880, venne ridenominato Kilima-Ndscharo e la sua cima Kaiser Wilhelm Peak. Nel 1964 la neonata Tanzania cambio' il toponimo in Uhuru Peak, Freedom Peak.

E' stato raggiunto per la prima volta da Hans Meyer e Ludwig Purtscheller nel 1889 e dopo di loro da decine di migliaia di persone. E' probabile comunque che alcuni locali lo avessero gia' fatto prima dei tedeschi ma senza metterlo nero su bianco. E' compreso nell'omonimo parco nazionale e l'accesso e' regolato da autorizzazioni e sistemi di controllo. Ufficialmente ogni anno sono consentite un massimo di 30.000 persone ma i numeri non sono confermati (e il rigido quanto confuso sistema di registrazione ai campi non favorisce il conteggio...).

Ci sono teoricamente sette vie per raggiungere la vetta del Kili e prendono tutte il nome del villaggio alla base del percorso. Sono pero' tre quelle da considerare al momento della scelta:
- la Marangu  e' l'unica provvista di rudimentali bivacchi ma essendo molto rapida non permette un adeguato acclimatamento e quindi causa molte defezioni; inoltre il percorso di andata e ritorno e' lo stesso;
- la Machame e' la piu' frequentata perche' si puo' completare in 7 giorni e consente un adeguato (ma non ottimale) acclimatamento; incontra la Lemosho il terzo giorno;
- la Lemosho e' la piu' completa perche' si puo' completare in 8 giorni e inoltre attraversa la foresta tropicale alla base del Kili.
Machame e Lemosho possono essere completate anche rispettivamente in 6 e 7 giorni, ma in questo caso bisogna considerare minore acclimatamento e giornate piu' lunghe.
Le altre quattro vie sono sconsigliate: la Mweka e' molto ripida, poco panoramica ed e' usata prevalentemente per la discesa lungo la Lemosho Route; la Rongai e' l'unica via che affronta il versante settentrionale ed e' paesaggisticamente poco interessante; la Shira e' una brutta copia della Lemosho (con cui converge il terzo giorno) e non presenta particolari vantaggi; la Umbwe e' molto dura perche' ripida e attacca la vetta da un versante particolarmente difficile, pertanto sconsigliata.
Merita un appunto il cosiddetto Western Breach: si tratta di un percorso molto impegnativo che raggiunge in poco tempo Lava Tower (4600m) e prende poi una "scorciatoia" per Uhuru Peak che prevede punti molto ripidi e fragili. La Western Breach era addirittura stata chiusa per alcuni anni a causa di incidenti ma e' stata poi riaperta nel 2007. L'attacco alla cima avviene completamente di notte per approfittare delle basse temperature che rendono piu' stabile il ghiaccio, ma nonostante questo i rischi sono molto alti e la maggior parte delle agenzie non organizza trekking lungo questa via. Meglio guardare altrove.
Tutte le vie presentano delle varianti che, ad esempio, consentono un maggiore acclimatamento (raggiungere punti piu' alti durante il giorno per poi dormire piu' in basso). E' questo il caso di Shira Cathedral o di Lava Tower. Esiste poi un'aggiunta alcune volte proposta: Crater Camp. Si tratta di un campo ad altissima quota (5750m) in cui fermarsi dopo aver raggiunto Uhuru Peak. E' altamente sconsigliato per questioni di sicurezza: permanere a tali altitudini per un tempo continuato e' pericoloso e puo' dare avvio a gravi sintomi di mal di montagna, a volte letali. I soccorsi, che per gli altri campi sono ben gestiti, nel caso del Crater Camp sono inesistenti. Inoltre scegliere di fermarsi a Crater Camp obbliga i portantini a uno sforzo eccessivo dovendo trasportare e allestire un campo cosi' in alto.

L'organizzazione fornita dalla maggior parte delle agenzie e' ottima. Ogni gruppo e' accompagnato da un numero variabile di guide, cuochi e portantini. I gruppi possono essere anche molto grandi ma l'ideale e' rimanere entro le 6 persone. A titolo indicativo, noi eravamo in due con 14 persone al seguito (1 guida, 1 aiuto guida, 1 cuoco e 11 portantini). E' possibile aggregarsi a un gruppo eterogeneo esistente oppure organizzare un viaggio individuale, come nel nostro caso. Viene normalmente fornita l'attrezzatura da campeggio (tenda per dormire, tenda per mangiare con tavolo e sedie, tenda per cucinare, tende per il personale al seguito, tutto cio' che serve per cucinare e mangiare) ed e' possibile attrezzarsi con un WC chimico privato. E' altamente consigliato optare per questo lusso, in quanto i bagni pubblici nei campi sono in pessime condizioni. Il personale al seguito si occupa dell'attrezzatura e di fornire i comfort di base: acqua trattata da bere e acqua calda per sciacquarsi. I pasti sono sempre caldi e cucinati sul posto. Le giornate iniziano normalmente verso le 6 per poter approfittare del bel tempo mattutino. I pomeriggi, essendo piu' instabili e a volte piovosi, e' meglio passarli nel campo successivo. La sera normalmente il tempo si schiarisce nuovamente permettendo bellissime vedute su Kibo. La cena e' normalmente verso le 18-18:30 (il sole cala intorno alle 18) e alle 20 tutti sono in tenda. Vivere con la luce del sole non e' male.

I rapporti umani sono molto forti, complice la quasi assenza di segnale telefonico. Nei campi si incontrano spesso le stesse persone delle notti precedenti e anche con il personale al seguito si instaura un bel rapporto di solidarieta' (dobbiamo tutti camminare, i turisti con uno zainetto di si' e no 6 kg, la squadra con un carico di almeno 20 kg). Durante gran parte delle giornate, camminando, si vedranno sfrecciare a una velocita' da centometristi decine portantini con il loro carico sulla testa e sulle spalle, tutti impegnati nel farci trovare il campo pronto al nostro arrivo. Ognuno ha il suo compito e lo fa bene. Sicuramente la mancia alla fine dell'avventura e' un incentivo a lavorare bene, ma viene il dubbio che ci tengano veramente e il modo in cui salutano ("Jambo!") e chiedono come va ("Mambo?" "Poa", Come va? Tutto bene) e' sincero. Forse sono le canzoncine di rito che mettono il buon umore.


La montagna e' relativamente sicura. Non ci sono animali strani (qualche scimmia nella foresta) o piante velenose (le ortiche forse...). Le tappe sono moderatamente impegnative e richiedono una forma fisica buona ma non impossibile da ottenere. Le temperature sono piacevoli durante il giorno e non eccessivamente fredde durante la notte (e' indispensabile pero' un sacco a pelo come si deve e adeguato abbigliamento tecnico). L'importante e' scegliere attentamente il periodo dell'anno: i mesi migliori sono dicembre-febbraio e luglio-ottobre (agosto e' il mese piu' gettonato per le ferie in Europa). Nell'inverno australe e' frequente trovare neve dai 4500 m in su. Il sistema di soccorso e' gestito con elicotteri e 4x4 (ci sono piste fino a meta' percorso). E' ovviamente indispensabile dotarsi di un'assicurazione adeguata che copra anche trekking non tecnici fino a 6000 m.

I problemi piu' frequenti sono quelli collegati all'altitudine. Non tutti viviamo a Machu Pichu o a Lhasa e passare dalle ridenti e ossigenate cittadine europee a campi d'alta quota puo' rappresentare un problema anche per i piu' allenati. Il mal di montagna si presenta gradualmente, quindi e' bene comportarsi adeguatamente per poter limitare i sintomi piu' lievi (mal di testa, nausea, inappetenza) e scongiurare quelli piu' gravi (problemi respiratori seri, problemi cardiovascolari). La regola d'oro e' Pole Pole (piano piano): camminando lentamente si da' tempo al corpo di adeguarsi al cambio di altitudine e si evita di andare in affanno. E' inoltre importante bere moltissimo, almeno 3 litri di acqua durante la camminata e circa 1 litro durante il resto del giorno (e qui ritorniamo sull'importanza del WC privato...). Alcune giornate, ad esempio quella di Lava Tower, sono piu' importanti di altre per l'acclimatamento; inoltre la Lemosho Route in 8 giorni prevede tre campi a 4000 m che sicuramente preparano bene alle altitudini successive. E' importante mantenersi in forze mangiando adeguatamente (e il cuoco sara' bravissimo in questo) e dormire bene (un materassino gonfiabile da campo sara' di grande aiuto). Ogni sera la guida controlla il polso e l'ossigenazione del sangue e compila una scheda segnando eventuali sintomi lievi, da non tenere mai nascosti. Alcuni scelgono di seguire una profilassi con un medicinale chiamato Diamox (non disponibile in Tanzania) che dovrebbe alleviare i sintomi piu' lievi ma ha conseguenze (diarrea) che forse e' meglio valutare. In ogni momento la soluzione piu' efficace per sintomi che sembrano peggiorare e' una sola: scendere. Partire in buona salute e con una buona forma fisica e' comunque il primo passo per non avere problemi in quota.